Non è solo l’energia a rendere problematico il settore del web: adesso il problema è anche il consumo di acqua.
Negli ultimi giorni, il Fondo Monetario Internazionale ha messo in evidenza il crescente consumo energetico legato a pratiche come il mining di Bitcoin e il funzionamento dei data center dedicati all’Intelligenza Artificiale. Non stiamo parlando del bollettino di quartiere di gruppi rivoluzionari ambientalisti, ma di un organo che il sistema ha messo a vigilare su sé stesso. La notizia di questi giorni è che esiste un altro fronte sul quale la situazione pare sfuggita di mano: l’approvvigionamento idrico.
Recentemente, il Financial Times (altro organo non certo tacciabile di simpatie extraparlamentari) ha riportato una situazione allarmante dalla Virginia. Qui, il consumo d’acqua è aumentato di quasi il 65% dal 2019, e gli ambientalisti avvertono di una possibile “esplosione” della domanda idrica. La causa sembra essere sempre la stessa: la crescente attività legata all’IA.
Ma che c’entra la Virginia? Perché non il Winsconsin o l’Ohio? Il fatto è che qui si trovano i principali data center delle grandi aziende tecnologiche, come Amazon, Google e Microsoft. Questa regione, insieme a Pechino, rappresenta oltre un quinto della potenza di calcolo globale. Le infrastrutture di BigData (la Bestia) hanno consumato ben 26 milioni di metri cubi d’acqua nel 2023, secondo i documenti ottenuti dagli “ecoterroristi” del Financial Times. Per mettere in prospettiva, il prelievo idrico è passato da 4,3 milioni di metri cubi prima della pandemia a 7 milioni attuali.
Secondo le analisi del gruppo di ricerca Dgtl Infra, i data center statunitensi hanno utilizzato oltre 284 milioni di metri cubi d’acqua nel solo anno scorso. Questo quantitativo basterebbe a dissetare Londra, con i suoi umani, per quattro mesi. Un paradosso inquietante è che alcune zone della Virginia stiano affrontando gravi problemi di siccità. La rapida espansione di queste strutture, con un raddoppio previsto dal 2019 e ulteriori costruzioni in corso, non farà altro che aggravare la situazione.
A novembre, Bank of America, altro membro del club degli ecoterroristi di cui sopra, ha classificato i data center come il decimo maggiore consumatore d’acqua negli Stati Uniti. Le principali aziende tecnologiche sono sempre in prima fila quando si tratta di Greenwashing, ma i dati mostrano che il blablabla non risponde alla cruda realtà: Google ha visto un incremento del 14% nel consumo d’acqua nel 2023 a causa delle necessità dei suoi data center. Pare che il 15% della sua acqua provenga da aree già colpite da scarsità, mentre il 42% del consumo globale di Microsoft avviene in regioni con stress idrico.
In un contesto in cui la sostenibilità ambientale è sempre più cruciale, è fondamentale riflettere su come l’espansione delle tecnologie digitali sia incompatibile con la conservazione di risorse vitali come l’acqua.
Invece che produrre topolini come la GDPR o l’AI-Act, l’Unione europea dovrebbe intervenire in maniera massiccia per impedire lo sviluppo incontrollato dell’Intelligenza Artificiale. Qui non si tratta più di una questione etica: ne va della nostra stessa sopravvivenza.
magnifiche sorti e progressive! siamo ancora li