Martedì 11 dicembre: la pillola rossa si trasforma in dibattito

Ci abbiamo provato. Era tutto pronto, eravamo disposti a tutto per una serata veramente nerd. Niente parole comprensibili, solo uno strettissimo gergo tecnico per iniziati.

La missione era installare, con un rito esoterico, il sistema operativo libero da google: LineageOS. Il prescelto era stato designato: un Motorola Moto G del 2015, macchina economica ma molto affidabile, con una batteria dalle eccezionali prestazioni .

Il proiettore riproduceva non solo lo schermo del PC, ma anche quello del telefonino oggetto dell’iniziazione. Il tutto grazie a un programmino di Davide, che estrapolava lo schermo del telefonino attraverso un cavo usb e lo mandava al proiettore.

Abbiamo iniziato, ma, mentre parlavamo ci rendevamo lentamente conto che entravamo troppo nel tecnico, e le persone presenti si annoiavano. In fondo, a chi interessa se la Motorola non si fida a sbloccare i propri dispositivi per la modifica, e concede il codice di sblocco, via mail, solo a chi si è dichiarato ‘sviluppatore‘, compilando un modulo sul loro sito? Chissenefrega di come si usano adb e fastboot, i comandi che riescono a scrivere sul telefonino dal PC: il 90% dei presenti non si fiderà mai a flashare il proprio telefonino da soli.

Nel momento più difficile, mentre cercavamo di spiegare le difficoltà di sblocco del bootloader, uno dei ragazzi presenti ha avuto il coraggio di fare una domanda semplice: “Ma per quale motivo dovremmo craccare il telefonino?

E così abbiamo appreso che le raffinatezze tecniche con cui si cracca lo smartphone, che per noi nerd sono interessanti quanto la scoperta del sesso per un adolescente, in realtà non appassionano così tanto i non-nerd.

La maggioranza dei convenuti (una quindicina abbondante di persone), piuttosto che al cyber-laboratorio erano interessati a scambiare “quattro chiacchiere su tecnologia, distopia, dominio.”

Io e Davide, che conducevamo la spiegazione tecnica, ci siamo ammutoliti. Le luci si sono accese, il proiettore si è spento. “Già, per quale motivo?” La spiegazione si è interrotta (la riprenderemo la volta prossima) e si è aperto il dibattito.

Rispondiamo alla prima domanda: “Ma per quale motivo dovremmo craccare il telefonino?” Semplice: se lasciate il vostro smartphone come lo avete acquistato, non è vostro.

È di Google (o di Apple), che lo ha progettato, programmato, pre-configurato per spiarvi. Ogni volta che aprite un’app (anche quelle ‘sane‘, che vi consigliamo) loro vi succhiano dati, rubandovi l’anima.

Lo fanno con tutti. Sempre. 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana. Non si tratta un’eventualità legata a chi commette qualcosa di contrario al regime, come nel caso degli spioni nelle “Vite degli altri“, ma di una prassi applicata a tutti noi, ogni secondo che Dio mette in Terra.

Tutti i dati (cronologia web, posizione geografica, fotografie scattate, chat, acquisti, etc.) sono catturati dai nostri smartphone, associati al nostro dossier, e conservati nei server di queste aziende. Il dossier è utilizzato per rendere più efficaci i sistemi di pubblicità: mandano messaggi solo a interessati. Ma non solo: sono in grado di attuare sistemi di persuasione individuale basati sull’auto-apprendimento delle macchine.

Intendiamoci: craccare il telefonino non è né necessario, né sufficiente, ma è decisamente un passo avanti verso la libertà e la riservatezza. Permette di usare l’aggeggio in un ambiente protetto, sapendo che non siamo tracciati. Poi possiamo usare delle app che tracciano, come whatsapp, o addirittura consegnare spontaneamente al sistema (la Bestia) la nostra vita privata, con facebook.

Ma in questo caso sarebbe un atto deliberato, del tipo: “so che mi spii, Bestia, e quindi mi comporto di conseguenza.” Non è la Bestia che entra in casa mia mentre mi sento al sicuro, ma sono io che attraverso le linee nemiche, con elmetto e fucile, aspettandomi l’agguato da un momento all’altro.

Risposto alla domanda, il dibattito è continuato, con uno dei misteri più inquietanti: l’etica di Google. Per quale motivo un’azienda, nata apparentemente con i migliori presupposti, si è potuta trasformare nel mostro che stiamo imparando a conoscere? È il potere, bellezza: una macchina che trasforma le anime più pie nei peggiori demoni. “Che non ci sono poteri buoni“, recita un libro ben esposto alla Sobilla. Tanto più poteri enormi, come quello attuale dei pochi giganti del web.

Finiamo la descrizione del dibattito con un altro tema caldo: l’ambiente. È un problema trascurato, nella fallace convinzione che l’economia immateriale sia ‘a basso impatto‘, che spostare bit sia un processo leggero, che produrre cultura non comporti spreco di energia e di materia, né produca rifiuti.

Balle! Se solo ci guardiamo intorno un po’ più attentamente, scopriamo che la folle corsa all’obsolescenza dei nostri dispositivi sta producendo fisicamente montagne di rifiuti, che da qualche parte in Asia e in Africa danno un miserabile, malsano e pericolosissimo lavoro a masse di disperati che cercano di estrarre da questa spazzatura il loro prezioso contenuto in metalli e terre rare.

Scopriamo che in realtà i nostri messaggini hanno un impatto energetico, anche solo per raffreddare i server della Bestia, anche se la Bestia sostiene, col greenwashing, di aver risolto il problema.

Scopriamo che il nostro smartphone, pur pesando pochi grammi, si porta dietro 34 chili di rifiuti solo dalla roccia estrattiva e 100 litri di acqua inquinata. Anche per questi motivi resistere, ribellarci e sabotare la Bestia sono un nostro dovere civico.

 

Un commento su “Martedì 11 dicembre: la pillola rossa si trasforma in dibattito”

  1. ottimo lavoro Michele e Davide.
    Grazie per quanto fate in Sobilla…
    Che il 2019 porti sempre più persone a combattere la “bestia”
    Conto di rivedervi presto.
    Ciao
    Paolo Gobbetti

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