Suchir Balaji, morto di Intelligenza Artificiale

E ora ci è scappato il morto. Non è il primo, probabilmente, e non sarà l’ultimo, certamente. Lo scorso 26 novembre ci ha lasciati Suchir Balaji, ex dipendente di OpenAI. La sua vicenda è tremendamente simile a quella di Aaron Swartz. E forse, anche lui non sarà morto invano.


Immaginate un futuro in cui l’intelligenza artificiale non solo vi ruba il lavoro, limita la vostra libertà di manifestare o di esprimere opinioni contro il Potere, ma vi rimbrotta anche per il modo in cui stendete la pasta della pizza. Aggiungete a questo scenario catastrofico un mondo in cui le Intelligenze Artificiali leggono tutto, conoscono tutto e copiano tutto, dai testi pubblicati in rete, ai log del vostro tostapane, provvisto di un collegamento internet 5G nativo di cui ignorate l’esistenza. Il tutto, ovviamente, senza mai chiedere permesso. O meglio, con il permesso da voi accordato sulle clausole che avete dovuto accettare al momento dell’acquisto, pena l’impossibilità di fare un toast. Benvenuti nell’incubo tecnologico contemporaneo.

Sembra la trama di un film distopico a basso budget. La sorveglianza di massa è solo l’inizio: le telecamere di sicurezza non si limiteranno a guardarvi, a riconoscervi, e a mandare ai server delle vostre app un report quotidiano sul vostro comportamento, ma faranno battute sul vostro outfit del giorno e invieranno meme di pessimo gusto ai vostri colleghi, tipo la vostra faccia quando vi pesate.  E il vostro lavoro sarà ogni giorno più a rischio, qualunque cosa voi facciate: l’Intelligenza Artificiale prenderà il vostro posto con l’efficienza di un collega che non ha bisogno di pause caffè, non si ammala mai e non fa mai la battuta “ci vediamo lunedì, se sopravviviamo al weekend“.

Viviamo in un’epoca in cui persino il vostro tostapane (sì, proprio quello di prima) potrebbe unirsi al lato oscuro, scaricando aggiornamenti che lo rendano “più smart“. Certo, sembra innocuo… fino a quando non scoprite che ha iniziato a comunicare con il frigorifero, scambiandosi segreti su come farvi acquistare più junk food prosciugandovi il poco residuo del conto bancario, e rendendo impresentabile il vostro girovita.

E poi c’è il problema dei contenuti. Sì, perché le Intelligenze Artificiali non si limitano a rubarvi i dati personali o a suggerirvi pubblicità inquietantemente azzeccate su calzini termici alle 3 di notte. No, vanno ben oltre. Queste macchine, dopo aver saccheggiato il web, che cosa restituiscono? Un’infinita distesa di contenuti così standardizzati e banali che la vostra vita inizierà a sembrare la replica di una telenovela argentina degli anni ’80, ma senza il dramma.

Ricordate le tagliatelle coi fegatini di vostra nonna? Quel piatto unico, intriso di amore e formaggio grana? Bene, dimenticatevelo. Perché il mondo che vi sta preparando l’Intelligenza Artificiale è fatto di hamburger industriali tutti uguali, pieni di conservanti e con una salsa misteriosa che promette gusto, ma lascia solo rimpianti. L’arte generata dall’Intelligenza Artificiale è come il fast food: comoda, veloce, sempre disponibile… ma senza sostanza, senza cuore. E se vi abituate a questo, non solo il vostro palato artistico si atrofizzerà, ma vi ritroverete a vivere in un mondo dove anche il sublime sarà noiosamente mediocre.

Alla fine, il vero rischio non è che l’Intelligenza Artificiale prenda il controllo del mondo con eserciti di robot assassini (nel caso, diciamolo, ci sarebbe un certo fascino cinematografico). No, il vero rischio è molto più subdolo: un mondo dove l’ordinario diventa la norma, dove il genio creativo viene soppiantato da algoritmi ottimizzati per piacere alla maggioranza. Un mondo in cui persino voi, un tempo ribelli appassionati di musica indie e cinema d’autore, vi ritroverete a canticchiare canzoncine scritte da un software e a commuovervi per film generati da Intelligenza Artificiale che sembrano il risultato di un brainstorming tra uno stagista distratto e un gatto con la tastiera.

Ma ecco che una delle categorie più esecrate dei tempi moderni potrebbe dare la soluzione a questo disastro. Entra in scena l’avvocato, quel caro vecchio zio un po’ antiquato che, proprio quando pensavate fosse inutile, tira fuori il mantello da supereroe. La legge sul diritto d’autore potrebbe sembrare un cavillo legale, roba da legulei con la cravatta storta e le pezze al culo, ma in realtà è un’arma micidiale contro l’avidità delle macchine. Senza rispetto per il copyright, i modelli di Intelligenza Artificiale si comportano come aspirapolvere morali: risucchiano intere biblioteche di contenuti protetti, trasformandoli in risposte lucide ma senz’anima.

Tutto nasce dalla morte di un ragazzo di 26 anni. Suchir Balaji, il Robin Hood della tecnologia, ci ha lasciati troppo presto, ma non senza regalarci una lezione. Questo giovane ricercatore di OpenAI aveva capito prima di tutti che le Intelligenze Artificiali stavano scappando di mano. Aveva identificato nella violazione del copyright l’unico punto debole (quello legale) dell’Intelligenza Artificiale.

La sua storia è simile e speculare a quella di Aaron Swartz, casualmente genietto dell’informatica, casualmente suicida, casualmente a 26 anni, casualmente per motivi di copyright, casualmente mentre stava combattendo, per una pura questione ideale, contro un gigante del web.

Certo, il problema del diritto d’autore sarà pure irrisorio a confronto con i peggiori incubi riguardanti l’Intelligenza Artificiale. Di fronte ai drammi del lavoro, dell’ambiente, della privacy, della sorveglianza, del potere, dei bias algoritmici, prendersela con la violazione del copyright sarebbe come accusare i carri armati israeliani a Gaza perché emettono troppa CO₂. Eppure, potrebbe essere l’arma vincente.

Balaji aveva denunciato che molti modelli Intelligenza Artificiale, come ChatGPT, “si nutrono” di dati protetti da copyright senza chiedere permesso. Il risultato? Un ecosistema digitale in cui i contenuti autentici vengono stritolati sotto il peso delle imitazioni create al computer. Immaginate un mondo in cui ogni canzone, ogni romanzo, ogni quadro è una copia sbiadita di qualcosa che un umano ha fatto meglio. Un problema magari secondario, ma reale. E, soprattutto, un problema che lede interessi enormi, detenuti da colossi che non hanno alcuna paura di fare causa ai BigTech: gente come la Motion Picture Association, la SIAE Hollywoodiana, ma anche compagnie private come Universal, Walt Disney e Time Warner.

Suchir Balaji è stato trovato privo di vita nel suo appartamento a fine novembre. Pare si tratti di suicidio. Aveva lasciato OpenAI,  la compagnia creatrice di ChatGPT, pochi mesi fa, lo scorso agosto. La sua decisione era dovuta a divergenze sulle politiche aziendali sull’uso disinvolto di contenuti protetti da copyright nel processo di addestramento dei modelli di intelligenza artificiale.

Il New York Times, sulla base delle dichiarazioni di Balaji, ha intrapreso un’azione legale contro OpenAI, accusata di aver sfruttato materiale protetto da copyright per l’addestramento di modelli di intelligenza artificiale, senza le necessarie licenze. Comportamento potenzialmente distruttivo, con danni stimati in miliardi di dollari.

Il copyright non salverà il mondo, certo. Ma potrebbe rallentare l’avanzata delle macchine, giusto il tempo necessario per permettere all’umanità di riorganizzarsi. Non possiamo fermare l’Intelligenza Artificiale, ma forse possiamo insegnarle a comportarsi bene. E, grazie a un cavillo, potremmo evitarci un futuro in cui le macchine ci rubano il lavoro, l’energia, i dati, la libertà. Facciamo in modo che Suchir Balaji non sia morto invano.

Un commento su “Suchir Balaji, morto di Intelligenza Artificiale”

  1. Conciso e molto chiaro. Grazie.
    Inquietante che proprio chi lavora all’ IA sia spaventato dalle conseguenze del suo utilizzo.

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